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JESSICA BIANCHERA

Da Exibart in occasione della mostra "ContaminAzioni"

 

La Società di Belle Arti di Verona promuove la mostra ContaminAzioni, un dialogo tra le opere di quattro artisti che declinano il tema attraverso altrettanti linguaggi artistici, dai più tradizionali ai più spiccatamente contemporanei: Mara Isolani (la mente di questo progetto espositivo) è pittrice, Moreno da Prato scultore, Giancarlo Beltrame fotografo e Poetria collettivo artistico che per l’occasione propone una performance. 

A presentare la mostra in occasione del vernissage due ospiti d’eccezione: la Prof.ssa Loredana Olivato, storica dell’arte e la Dott.ssa Patrizia Nuzzo, conservatrice e curatrice presso la Galleria d’Arte Moderna Achille Forti. 

Come sottolineato dalla Dott.ssa Nuzzo, l’arte da sempre è soggetta a un certo grado di contaminazione, sia per quanto riguarda le tecniche, sia per quanto concerne i temi e i motivi iconografici, ma è nella contemporaneità che questa pratica si acutizza, in particolare a partire dagli anni ’70 e ’80, con il Postmoderno. Per quanto si tratti di un panorama estremamente vario e differenziato, ad accomunare le pratiche postmoderniste è proprio quello sguardo all’arte del passato che si declina in certi casi in vero e proprio citazionismo (pensiamo al gruppo dei Nuovi nuovi, battezzati da Renato Barilli o ai Transavanguardisti di Achille Bonito Oliva o ancora agli Anacronisti di Maurizio Calvesi). A forza di cercare il nuovo, di voler andare sempre avanti, di voler stupire con l’innovazione, si è andata costituendo nel corso del ‘900 una vera e propria "tradizione del nuovo”, per citare Barilli. In un tale clima, l’unico modo per fare qualcosa di veramente innovativo è tornare indietro, effettuare una decisa inversione a U e rivolgersi al passato: alla "tradizione del nuovo” si sostituisce "l’innovazione dell’antico”, senza mancare però di inserire un grado di variazione tale da non incappare in una mera copia fuori dal tempo (ricordiamo a questo proposito la mostra milanese "La ripetizione differente”, curata proprio da Barilli nel 1974 presso lo Studio Marconi). 

ContaminAzioni riprende lo spirito e il clima di questo orizzonte operativo sottolineando il fatto che in realtà non si è mai spento, ma è andato evolvendo nel corso degli anni aprendosi anche alla commistione di tecniche e spunti provenienti da medium tecnologici e comunicativi estremamente contemporanei, come la fotografia e il cinema. Si sottolinea anche il carattere operativo e l’incursione della performance attraverso l’espediente grafico della seconda "a” maiuscola che fa della parola "contaminazione” il vettore di un doppio significato che coinvolge appunto anche l’”azione”.

Venendo alle opere, le pitture di Mara Isolani rivelano una chiara contaminazione con la fotografie e il cinema, anche semplicemente nell’intenzione dell’artista di volerci regalare fotogrammi di vita, un po’ come faceva Degas, con le sue ballerine o le sue donne spiate dal buco di una serratura; o come Hopper, con le sue figure sospese in uno stato di incomunicabilità irreversibile. Ma forse il paragone più calzante è quello con le esistenze scialbate di George Segal o le sculture iperrealiste di Duane Hanson, e in particolare con i suoi Tourists: non a caso uno dei cicli della Isolani, ben rappresentato in mostra, si intitola proprio Turisti. Quelli dell’artista veronese però sono turisti riportati alla bidimensione, raccontati con un realismo a tinte forti su fondi per lo più monocromi o a fasce monocrome. A volte i personaggi sono ambientati, ma le "stanze” in cui si trovano si riducono a superfici squadernate in primo piano in un sostanziale á plat. Nella sua presentazione, la Dott.ssa Nuzzo sottolinea la coesistenza di opposti nelle pitture della Isolani: il realismo delle figure e la riduzione a motivi astratti dei fondali, ma anche la dualità linea-materia di cui perfetta esemplificazione è l’inserto di bande cromatiche color oro di voluta ascendenza medievaleggiante, per ritornare così al tema della contaminazione.

 

 

Di particolare interesse il lavoro proposto da Giancarlo Beltrame, le cui opere sono state esposte di recente anche al Lamaf (Los Angeles Mobile Art Festival) a Santa Monica, al Mopa Forum Gallery di Oporto, al Fipa di Firenze, al Mart di Rovereto (solo per citarne alcuni). Beltrame utilizza due tecniche estremamente omologhe al nostro tempo: il selfie e la Mobile Art, tecniche che potenzialmente sono alla portata di tutti ma che in questo caso diventano pratica artistica a tutti gli effetti, sia vista l’intelligenza nell’elaborazione dei temi e dei cicli proposti, sia considerata la complessità della lavorazione che con molta pazienza Beltrame mi ha illustrato in occasione dell’inaugurazione. La citata complessità è data da più fattori, in primis dalla stratificazione delle fasi di lavorazione, che partono dal progetto artistico veicolato poi dallo scatto con l’i-phone, per essere successivamente sottoposto a numerosi passaggi di elaborazione dell’immagine: le fotografie così ottenute vengono lavorate dall’artista in almeno altre 5 fasi, attraverso innanzitutto il programma Hipstamatic, direttamente sull’i-phone, per passare poi a programmi di rielaborazione dell’immagine su i-pad (Superimpose per esempio, con sovrapposizioni che possono arrivare fino a 6/7 livelli, e poi altre quali Photoshop o Photocopier.) al fine di ottenere non solo stratificazioni di immagini di cui lo scatto è solo il punto di partenza, ma anche una matericità che è un momento fondamentale della ricerca di Beltrame e allo stesso tempo condizione molto difficile da ottenere con questo medium artistico. Allo scopo di ottenere questo effetto materico, l’artista rivela che la vera sfida è la scelta dei mezzi e dei materiali di stampa, altro aspetto rivelatore di quanto meditata sia la sua ricerca, curata in prima persona sotto ogni aspetto, dall’ideazione alla stampa. Da un punto di vista tematico, in mostra sono presenti opere da due differenti cicli, uno sull’occhio (Time laps), che vediamo attraverso un video collocato sull’altare della chiesa, in cui scorrono più di 700 immagini sulle varie fasi di realizzazione delle opere in un primissimo piano che focalizza il dettaglio dell’occhio: spiraglio in una maschera secondo l’artista, cortocircuito di un’ossessione labirintica, secondo l’interpretazione della Dott.ssa Nuzzo; l’altro, articolato nella sala alla destra della navata, più strettamente concernente il tema della contaminazione: nelle quasi venti opere presenti, tutte di formato quadrato, il tema della maschera, caro all’artista, dialoga con figure prelevate direttamente dalla storia dell’arte, da Antonello da Messina a Van Gogh, da Matisse a Hopper. 

A dialogare con le opere della Isolani e di Beltrame, le sculture di Da Prato, sospese in un sottile equilibrio tra la tradizionalità del materiale (il bronzo) e la contemporaneità della riflessione su un umanità incompleta e incompletabile, e le poesie di Poetria, sussurrate nell’orecchio di chi le voglia ascoltare entrando nel confessionale a sinistra dell’altare, in un gioco di significati e significanti generato già dal fatto che si entra in un confessionale non per essere ascoltati ma per ascoltare.

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Curatrice indipendente

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